di Francesco Di Gennaro

Sono tentato nell’acquistare una simpaticissima piantina di plastica.
Sul vaso che la contiene c’è scritto:
“Non mi innaffiare per piacere, sono falsa come te”.
Non ha tutti i torti, do l’impressione di essere un tipo romantico.
Sotto braccio ho una scatola di cioccolatini a forma di cuore.
Ho preso questi perché costano meno.
È tra i prodotti in sconto.
San Valentino è passato tre settimane fa.
Non che la cosa mi interessi.
È un periodo in cui penso solo al mio benessere.
La mia pelle sa di cloro.
Porto addosso ancora le vasche di dorso che ho fatto un’ora fa.
La coach direbbe che nuoto con molta grazia.
Molto meglio rispetto a quando ho cominciato.
Lei sostiene che sollevo pochissima acqua tra una bracciata e l’altra.
Ci metto tutto me stesso per alzarne poca.
Non per una questione di esecuzione ma perché odio quando gli altri nuotatori nelle vasche si dimenano in ampie bracciate e sbuffi a pelo d’acqua.
Come se le onde che propagano col loro moto violassero lo spazio personale nella mia corsia.
Di solito provo a non pensarci, distendendomi con la testa a galla mentre procedo pancia all’aria tipo zattera.
Amo il dorso.
Sono la zattera di me stesso.
Mi trascino nel reparto casa fermandomi a osservare una sedia di plastica sul prato sintetico.
È posizionata sotto un ombrellone. La ripara dalla luce artificiale.
È uguale alla sedia su cui mi svesto prima di entrare in vasca.
Solo più nuova e col prezzo incollato sullo schienale.
Mi avvicino alla sedia di plastica e con le unghie stacco facile l’etichetta adesiva per poi attaccarmela sul culo.
Toh, ora mi sento più nuovo anche io.
Poi nel riflesso di un set di pentole in acciaio inox mi controllo meglio il prezzo incollato sulla natica destra.
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Controllo meglio e c’è un’altra etichetta attaccata sotto, quindi scollo quella sopra per leggere il prezzo originale.
19,99€
Giusto così, penso.
Mai svendersi.
Più avanti c’è il reparto frigo dei formaggi.
Una sezione intera dedicata unicamente ai latticini.
E mi chiedo come sia stato possibile concepire un cambio così brusco, passando dal calore degli oggetti casalinghi alla bianca freddezza del latte e derivati.
Ci deve essere qualcosa di calcolato anche in questo e sarebbe interessante farsi due chiacchiere con la gente addetta alla disposizione dei reparti negli ipermercati.
Come si identificano? Interior designers?
Forse sono mansioni affidate a impiegati semplici.
Ne vedo una in lontananza.
Sta con la testa nel banco frigo a selezionare e tastare prodotti.
Ne vedo solo il corpo e il carrello.
Ce l’ha una testa?
Avvicinandomi di più comprendo che non si tratta di una commessa.
E sì, ce l’ha il capo.
Lo libera dal freddo statico del frigo per una manciata di secondi.
Giusto il tempo di guardarsi attorno.
M’osserva distratta.
Nei suoi occhi c’è il riflesso dei tasselli azzurri sul fondo della piscina.
È uno sguardo che sa di già visto.
E la cosa mi rasserena.
Vorrei sguazzarci un po’ di più nelle sue espressioni ma lei distoglie lo sguardo.
È tornata alla scelta del provolone.
Ce ne sono vari nel banco frigo.
Uno migliore dell’altro.
Profumati e bellissimi provoloni in attesa di essere scelti dalla cliente di turno.
Mi sarebbe piaciuto portarla a Disneyland.
Nell’ipotesi di un suo sì alla richiesta di stare con me.
Nell’ipotesi, ancora prima, in cui mi faccio coraggio decidendo di interagire con lei.
Ma io sono così, piatto nella mia tranquillità.
Provarci sarebbe stato come oltrepassare la linea gialla mentre arriva il treno.
Non c’ho voglia di essere travolto da cose che non posso controllare.
Preferisco idee ordinate, ben disposte, etichettate all’occorrenza.
Come le scatole di cereali posizionate in modo perfetto sugli scaffali.
Qualcosa che, se scelgo, so che mi piacerà perché già sperimentato.
Senza conseguenze spiacevoli, eliminando i rischi di insuccesso.
Dall’interfono una voce rauca e femminile avvisa che ci sono le sogliole surgelate in offerta.
Sto per condividere la stessa sorte dei pesci girovagando tra corridoi tappezzati di celle frigo da tanto freddo che fa.
È arrivata dunque l’ora di scannerizzare il mio prodotto alla cassa automatica.
In coda c’è una anziana che cerca disperatamente aiuto.
La macchina non le riconosce una confezione di patate novelle.
Tra l’indifferenza generale degli altri clienti si fa spazio un commesso che in modo scorbutico e saccente invita la signora a farsi processare la spesa da un collega.
L’unico essere umano rimasto a scannerizzare alle casse.
Per gli amanti della spesa retrò.
E infatti alla sua cassa c’ha in coda tutte persone over 60.
Una caterva di luddisti mancati e nostalgici dei mercati rionali.
Pago i cioccolatini e mi defilo.
Nel parcheggio multi piano ci sono tutte macchine grigie, nere o d’epoca.
La mia è una di quelle black.
Al piano -2 entro in una fiat nera ma non è la mia.
Me ne accorgo subito perché dietro c’è una coppia che pomicia.
Sto viola in viso e mi scuso uscendo prima che il ragazzo esca a spaccarmi la testa.
Indico la mia Fiat nera parcheggiata accanto.
«Vedete?» Faccio.
Una assurda coincidenza.
Complice anche il fatto che ormai tutte le nuove macchine si sbloccano col segnale di prossimità della chiave.
Sono riusciti a eliminare anche il piacere di sbloccare le cose.
Un’efficienza tecnologica che, nel mio caso, fa fare brutte figure occasionalmente.
Non è la prima volta che mi capita di confondere cose non mie per mie.
Potrei parlare di quella volta che me ne sono tornato a casa col telefono di un mio amico o di un’altra in cui ho scambiato le attenzioni di una ragazza come destinate unicamente a me.
Ma forse è meglio se apro la scatola di cioccolatini a forma di cuore.
Ne mangio sette su quindici perché sto morendo di fame.
Prima di accendere il motore, metto un po’ di musica.
In riproduzione c’è la hit del mese.
Molto orecchiabile, presentata a Sanremo.
Ricorda molto un’altra hit, presentata sempre al festival anni prima.
Questa però ha un qualcosa in più.
Ci sono bassi più potenti o qualche sintetizzatore più corposo dopo il ritornello.
Ma davvero m’interessano ‘ste cose?
In qualche anticamera liminale del mio cervello sto ancora pensando alla tipa dei provoloni, all’anziana, alla sedia di plastica nuova e al nuoto.
Bracciate su bracciate e poi il cloro.
Sono qui, sono altrove.

Francesco Di Gennaro è nato a Napoli. Studia Medicina E Chirurgia. Ha scritto racconti e poesie per diverse riviste italiane (Argo, l’Appeso, Nido di Gazza, l’Equivoco, Kairos, Blam, L’inquieto, Enne2, Il Detonatore, Scomoda et al.)