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Le Blanc

di Isabella Capurso

Alla lavanderia a gettoni c’era questo tale.
    «Un bravo Cristo. Non ti fa niente: rompe un po’ le scatole, ma è buono.»
   Un personaggio non trascurabile. Viveva alla lavanderia oramai da un pezzo. Il proprietario non si prendeva più neanche la briga di cacciarlo, a tarda sera. Lo aveva altresì promosso: egli era diventato il guardiano della lavanderia. Vestiva con uno smoking che un tempo aveva dovuto essere bianco. Camicia nera, cravatta rossa. Il nodo era lasco ma, di tanto in tanto, il tizio se lo sistemava. Sorrideva a trentadue denti tranne due. Un canino sopra e un molare sotto. 
Le Blanc. Così diceva di sé. Gongolando, poiché era nero.
    Riceveva i clienti a tutte le ore, invitandoli a entrare con le sue lunghe ossute dita. A guardarlo da lontano sembrava un attaccapanni. Smagrito, dinoccolato.
    «Ma dove vai vestito così?» gli si rivolgevano allegri certi habitué della lavanderia.
   «Monsieur! Ho lavorato nel mondo dello spettacolo. Teatro, varietà,…» contava sulle dita, nel suo accento creolo. 
    Annuiva a se stesso. Sorrideva sdentato e ammiccava, oramai distante dall’interlocutore, mentre contava la pluralità delle sue performance.
    Puzzava di alcol ma non sempre. Alle volte era di ritorno da una doccia. I vestiti, però, gli stessi. 
   Era discreto. Raramente si interessava agli indumenti dei clienti. Roba ordinaria o abiti freschi di macchie da cancellare lontano da casa. Soltanto nei casi più clamorosi, ridacchiava compiaciuto. Per il resto: solidarizzava. Una macchia preoccupante, che non se ne andava, gli faceva aggrottare le sopracciglia.
    «Ehi amico.»
    Faceva un gesto con la mano, come a dire “tranquillo, andrà via”.
   Anche sui gettoni era discreto. Accettava di buon grado qualche change, ma non chiedeva mai per primo.
    Insomma, con lui si poteva stare tranquilli.
   Una volta, però, era capitata una ragazza. Una bionda dell’Est. Era triste, poveretta, se la ricordano che, quando era entrata nella lavanderia, ancora piangeva. 
   Quel che accadde dentro, nessuno potrebbe dirlo a parte i protagonisti, che però non riescono a essere precisi. Il racconto è svampito nel vociare della gente e potremmo ricostruirlo grossomodo così.
    La ragazza che era entrata – qualcuno poi si fece venire il sospetto di averla riconosciuta – era una tale, anch’essa un po’ tocca. Era entrata che piangeva, probabilmente non sapeva che Le Blanc abitava in lavanderia, probabilmente pensava di trovarla deserta. E in effetti questo convincimento l’aveva persuasa a non notarlo subito. Egli si era già coricato in un angoletto, accanto a una lavatrice di quelle pensate per i tessuti ingombranti. Forse proprio da qualche rimanenza del genere doveva provenire il trucido piumone con cui Le Blanc si copriva dalle caviglie alla testa.
    Poi la ragazza li notò. Inizialmente instupidita dall’afflizione e dalla sorpresa, ci mise qualche secondo a metterli a fuoco. I piedi di Le Blanc, lunghi e affusolati dentro alle scarpe bicolore. Le punte rivolte al soffitto, piantati come due bastoni.
    Fece un sussulto, un’imprecazione, un bofonchio. Avanzò di qualche passo, forse per mettere a fuoco a cosa si collegassero le due buffe entità. I suoi occhi presero a vagare in maniera sconnessa e la confusione mentale che la possedeva tornò in breve a prendere il sopravvento. Alla ragazza non importò più dei piedi e tornò ai suoi affari. Girò lo sguardo tutt’intorno, poi si concentrò sui contenuti di un borsone che teneva a tracolla. Ci rovistò dentro e, con delicatezza, ne trasse fuori un fagotto di stoffe. 
    Le Blanc si era tirato su a sedere e osservava, mezzo accecato dalle luci al neon. Una mano dietro la nuca, a capirci qualcosa. 
    La donna ripose il fagotto dentro l’oblò di una lavatrice. Poi fece per cercarsi una moneta addosso.
    «Madame?»
    La voce di Le Blanc la richiamò alla realtà.
    «Mi presti i soldi?»
    Hai moneta, Le Blanc?
    «Poca roba? Meglio quell’altra lavatrice laggiù. Costa meno cara.»
    «Che?»
    «Plus petite: ça va mieux! Moins chère
    Le Blanc sfregava indice e pollice, a farsi intendere.
   Ecco, ora le dicerie si dividono. C’è chi sostiene che Le Blanc poté finalmente convincere la ragazza, che un soldo per la lavatrice più piccola lui l’aveva. Che l’avesse aiutata a tirare fuori il fagotto e che l’avesse convinta a tornare più tardi, che avrebbe svolto lui il servizio. Altrimenti che ci stava a fare? Che avesse potuto convincerla perché chi ha fatto il manicomio sa riconoscerne un altro, che avesse raccontato qualche sua storiella e magari avesse giocato qualche numero divertente con l’accendino.
    E così, il neonato si era potuto salvare.
   E poi ci sono altri. Altri che dicono che Le Blanc e madame un soldo non l’avessero per davvero e che allora, invece, era stato così che il neonato si era potuto salvare. 

Isabella Capurso, autrice milanese, ha pubblicato nel 2021 la raccolta di poesie Il pesce lanterna per Gattomerlino Edizionie, menzione speciale al Premio internazionale per la poesia Rodolfo Valentino  2025; nel 2022 la raccolta di racconti Corale per LFA Publisher. Pubblica Sacro e urbano nel settembre 2022. Il libro vince il premio nazionale cine-letterario Bookciak, Azione!, nella sezione Poesia, ed è classificato tra i dieci libri più venduti dalla piccola e media editoria, nello stesso anno. Nel 2023, esordisce come autrice di teatro con la drammaturgia Il cuore, in scena al Politeatro di Milano. Nel 2024 pubblica il libro illustrato per l’infanzia L’aggiusta-cuori (Gattomerlino). Nello stesso anno, il suo documentario poetico La meta è finalista in tre festival internazionali di cinema indipendente. Nel 2025 scrive e produce il mediometraggio Puppetries! Cose da pupazzi documentario dedicato al teatro di figura.
Scrive stabilmente su «Assonanze», rivista di critica cine-letteraria di Garavaglia e Moscati e su Magozine, periodico di divulgazione culturale.
Nel 2017 ha aperto e conduce a Milano il laboratorio di divulgazione culturale Le Poisson Lumière