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New Mexico, 1981

di Francesco Angeli, Paolo Petrucco, Emma Mattiussi, Simone Cappellaro, Letizia Rigotto

New Mexico, 15 luglio 1981

L’auto di Dick si era fermata in mezzo alla strada, lasciando dietro di sé un fumo azzurrino. Con grande stizza, Dick buttò via dal finestrino la sua sigaretta e si lanciò in una lunga sequela di imprecazioni. «Ma che cazzo, quello stronzo del meccanico mi aveva garantito che ‘sto catorcio era a posto, non è possibile che ‘sta merda si rompa ogni due settimane». Una volta calmato, scese lentamente dalla sua Dodge e iniziò a spingerla verso il bordo della strada.
     Il sole torrido del pomeriggio batteva sulla statale 169, e dopo aver provato per ore a riparare il motore, Dick si sedette sconsolato all’ombra della macchina, cercando un po’ di frescura. Ormai i suoi vestiti formali erano sporchi di olio e la camicia si era trasformata in una sorta di lunga bandana che copriva anche parte della schiena. Erano le 6 di pomeriggio e nessuno era ancora passato per quel tratto di strada da quando la Dodge aveva finito la sua corsa. Dick fece mente locale: il giorno dopo avrebbe dovuto consegnare i rilevamenti commissionati dal Research Institute di Stanford, che operava esclusivamente con una tabella di marcia serrata e non ammetteva ritardi. Dick era già in ritardo. Qualcuno prima o poi si sarebbe fermato per lui, perciò Dick si inoltrò nel deserto con in mano il fidato fucile da caccia e la sua valigetta piena di documenti segreti.

*

Susy e il signor Collins sfrecciavano attraverso il deserto per arrivare dalla nonna in tempo per la cena. Li aspettavano vassoi di pannocchie blu, l’antica ricetta che si tramandava da generazioni tra le donne di casa Collins, e di enchiladas. Quando la strada curvava dietro le montagne arancioni la casa della nonna sembrava non apparire mai, Susy chiedeva al padre di accelerare ancora un po’, e poi ancora, con la pancia che brontolava.
     L’auto correva a quasi 100 miglia all’ora, quando all’improvviso Susy esclamò:
    «C’è un uomo nudo che ci sta correndo incontro». Il padre frenò di colpo, facendo fischiare le gomme sull’asfalto. Davanti al parabrezza sbucò un uomo nudo, se non per una strana bandana bianca, più simile a una camicia che a un copricapo e una ventiquattrore stretta nella mano destra. Il padre restò impietrito dalla sorpresa; si riprese al colpo delle mani dell’uomo sul cofano. L’uomo, per quanto fosse agitato, restava comunque a debita distanza e non sembrava pericoloso, quanto completamente spaesato. Farfugliava parole senza senso, sconnesse, ripeteva “Animale”, “Documenti”, “Macchina”, “Rosso”, “Lupo rosso!”. Al suono di quelle ultime parole il signor Collins si irrigidì di nuovo.
     La sapevano tutti, in New Mexico, la leggenda del Lupo Rosso: ogni volta che qualcuno si era imbattuto nel raro lupo del deserto, nel giro di 24 ore aveva sofferto le peggiori torture prima di morire di una morte innaturale dalle cause misteriose. Era chiaro che l’uomo aveva incontrato l’animale e che la sua lenta e inevitabile discesa verso il suo destino era già iniziata da un pezzo.

    «Susy, ascoltami, non ci dobbiamo far toccare da lui», disse il signor Collins facendo scattare i blocchi delle portiere, «È stato condannato e non c’è niente che possiamo fare per aiutarlo».
    Al sentire queste parole l’uomo gridò: «Aspettate!» Se non avesse reagito subito, avrebbe del tutto esaurito le opzioni. «Non vi chiedo di salvarmi, ma prendete almeno la valigetta e consegnatela a quest’indirizzo, è una questione di sicurezza nazionale!», disse alzando le mani, in una la valigetta, nell’altra un foglio stropicciato, sudato, sporco di terra rossa.
    Il signor Collins fissò per un lungo momento Dick, poi sentì dietro le sue spalle un cigolio. Susy, incapace di trattenere la curiosità, stava ruotando la manovella per far scendere il suo finestrino. «No!» esclamò il signor Collins, e poi, rivolgendosi all’uomo disse: «Infilala nel bagagliaio e non fare scherzi».
    Dick si mosse lentamente attorno all’auto. Susy lo seguì con lo sguardo, mentre il signor Collins controllava i suoi movimenti dallo specchietto retrovisore. Dick incrociò i suoi occhi, spiritati ma tristi, con quello di Susy. In fin dei conti, era conscio del proprio destino.
     Il signor Collins era agitato e confuso: Susy continuava chiedergli chi fosse quell’uomo, cosa fosse successo, perchè non gli potevano dare un passaggio, e il signor Collins poteva risponderle in un solo modo: «Non possiamo, tesoro, non possiamo».
    Una volta chiuso il bagagliaio, Dick fece un passo indietro e il signor Collins sfrecciò via immediatamente, investendolo con una nuvola di polvere mista a sabbia. Dick osservò a lungo l’auto farsi sempre più piccola, fino a sparire nel sole basso e rosso.

*

L’indirizzo sul foglio sporco era di Albuquerque, a qualche ora di auto. I documenti contenuti nella valigetta non furono una sorpresa per il signor Collins e per sua madre, che si consultarono in silenzio, mentre Susy si godeva i chicchi di mais scuri.
    L’argomento criptato, facilmente identificabile per la gente del luogo, era il Lupo Rosso. C’era una descrizione della leggenda legata a questo mistico animale, ai sintomi legati alla sua visione e una mappa dei luoghi in cui si avevano prove del suo mortale passaggio, segnati con una x. Il signor Collins pose una croce nei pressi del luogo in cui avevano incontrato Dick, scoprendo con orrore che il cerchio di crocette aveva come epicentro proprio casa Collins. In uno dei fogli, c’era scritta a mano una specie di poesia, ma non era scritta in inglese. Sembravano idiomi antichi.
    «È lingua navajo» disse una voce dietro le loro spalle. Era la vecchia bisnonna: «Non siamo rimasti in molti a conoscerla, ormai le tracce dei sentieri dei miei antenati si sono perse nelle autostrade degli uomini bianchi, ma qualcuno custodisce ancora le antiche tradizioni».
    «Nonna, cosa significa questo testo?» chiese il signor Collins. La bisnonna avvicinò il foglio ai piccoli occhi: «È una canzone. Quando io ero bambina, nel mio villaggio la si cantava quando il Lupo Rosso era nei paraggi.. La leggenda dice che l’ululato del lupo si placasse immediatamente, e il lupo diventava così mansueto da avvicinarsi alle tende del villaggio per dormire accanto al fuoco».
     La famiglia Collins, quella notte, non dormì a letto, ma si radunò attorno a un falò fatto con delle fascine di legno. Il silenzio era totale, se non per il crepitio del legno ardente. Poi, un ululato squarciò la quiete e, in modo quasi religioso, la bisnonna iniziò il suo canto.
    Con gli occhi chiusi e i palmi delle mani rivolti verso l’alto, la vecchia intonava una lenta e spezzata melodia di parole incomprensibili eppure familiari. I signori Collins, stretti gli uni agli altri, stavamo immobili e in silenzio, mentre l’ululato si trasformava in zampate, che lente e scricchiolanti si muovevano verso di loro.
     Quando il Lupo Rosso apparve, la paura che li aveva colti sparì all’improvviso: quella bestia così terribile che infestava misteriosamente quei luoghi ora non sembrava così spaventosa; in realtà, sembrava solo un grosso cane, proprio come quello che una volta avevano loro.
     La bestia si avvicinò alla vecchia che, ancora con gli occhi chiusi, gli pose una mano sul muso accarezzandolo amorevolmente.
    «Il Lupo Rosso non è qui per voi». Disse la vecchia «Non è mai stato qui per voi. Non dovete averne paura». Detto questo, la vecchia fece un gesto e la bestia, stanca e ansimante, cominciò a girare intorno al fuoco annusando ad uno ad uno i presenti. Poi, come era apparso, il Lupo Rosso se ne andò, lasciando la famiglia sola intorno al fuoco che andava spegnendosi.
    «Quindi? Cosa vuol dire questa cosa?», chiese poi il signor Collins, «Vuoi dirmi che il Lupo Rosso altro non è che un cane?»
    «Il Lupo Rosso altro non è che un cane», confermò la vecchia, «Nelle vecchie tribù era un simbolo di protezione, tant’è che si regalava ai bambini appena nati un pezzo di legno intagliato con la sua figura. Quando ero piccola, il Lupo Rosso girava liberamente fra noi, ci difendeva dai ladri e malfattori».
    «Cosa è successo poi?», chiese Susy, guardandosi le mani appena annusate come un’antica reliquia.
    «Niente», rispose la vecchia, «Semplicemente, quando è arrivato l’uomo bianco, il Lupo Rosso ha iniziato a difendere il suo territorio, a difendere noi. Il fatto che vi annusi le mani, vuol dire che riconosce in voi degli amici, delle persone che non gli farebbero più del male».
     Stanca di quel tanto parlare, la vecchia si alzò, pronta per andare a dormire: «Non temete», concluse poi, «le benedizioni a volte sembrano maledizioni, e l’uomo preferisce vedere il male al di fuori di sé prima che in sé stesso. Il Lupo Rosso è solo un cane, è l’uomo che ha deciso che doveva essere distrutto». E si allontanò, mentre la brace esalava i suoi ultimi bagliori.

*

«Qui Albuquerque.
     Stop.
     Agente scomparso in circostanze misteriose. 

     Stop.
     Settima occorrenza.
     Stop.
     Suggeriamo chiusura programma di ricerca.
     Stop.»

Collettivo curioso, numeroso, friulano. Non tutti i componenti si conoscevano prima di iniziare a scrivere e ancora adesso hanno i dubbi quando si incontrano per strada.