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L’ufficio delle parole

di Mateusz Miroslaw Lis

Illustrazione di Ottavia Marchiori

C’è un posto in città, nascosto in pieno centro storico, eclissato da altri locali ben più frequentati, dove si svolge il contrabbando di parole. Pochi sanno dell’esistenza di questo strano ufficio, molti ci passano davanti tutte le mattine senza nemmeno accorgersene. Non ha vetrine, nessuna insegna che possa attirare l’attenzione: lo potete trovare solo se già sapete dov’è. L’occhio ingenuo infatti potrebbe scambiare l’ingresso di questo locale misterioso con quello di una qualsiasi altra abitazione. L’accesso a questo singolare mercato si riceve esclusivamente attraverso raccomandazione e invito. Qualora dunque riceveste la fantomatica lettera di benvenuto, solitamente per mano di un vostro amico fortunato o di una missiva anonima, non avrete problemi ad individuare il piccolo portoncino di gelso che nasconde al mondo questo baratto esclusivo. Una volta scoperto l’ingresso segreto, come magra rassicurazione della vostra ricerca, potrete trovare un minuscolo citofono riportante il nome “Dott. Albeth, consulente di finanza grammaticale”. Basterà un breve contatto con il pulsante lì vicino e vi sarà garantito l’accesso alla struttura. Non vi verrà chiesto nulla, né nome, né orario di prenotazione, né altro: scoprirete infatti che il pulsante non è collegato ad un impianto citofonante, bensì ad un semplice circuito elettrico che sblocca il portale d’ingresso, certo non prima di un rumoroso ronzio meccanico che potrebbe comunicare la vostra presenza a tutto il vicinato. Chiunque infatti lo potrebbe premere e, di conseguenza, chiunque potrebbe entrare. Tuttavia, molto sorprendentemente, non è mai capitato a nessuno di entrare se non sotto invito. L’Ufficio delle Parole, così viene chiamata comunemente questa attività, è aperto a tutti, anche se, nella pratica, pochissimi lo frequentano.

Una volta dentro vi troverete in una minuscola stanza bianca, arredata appena da sei sedie, anch’esse bianche, un tavolino in vetro ed un vistoso esemplare di Ficus retusa, il tutto illuminato dalla luce penetrante di alcune finestre poste sotto il livello del soffitto, anch’esso interamente bianco. A seconda dell’ora e delle offerte del giorno potreste soffocare circondati da molti altri individui o ritrovarvi completamente soli. Non c’è coda o numerino da prendere, sarà il vostro turno quando verrete chiamati dalla piccola porta che conduce all’unico altro ambiente della struttura. Solo a quel punto vi alzerete e potrete entrare in uno stanzino ancor più piccolo, completamente bianco, con al centro una scrivania anonima, illuminata da una lampada assai debole e vagamente penzolante. Opposto al lampione da comodino potrete notare la presenza di un computer, uno di quelli vecchi, goffi e pesanti, affiancato da un tastiera della stessa fattura. Troverete seduto a questa postazione un anziano signore, il Dott. Albeth, in camicia bianca e bretelle rosse, con appena qualche capello bianco nelle zone limitrofe ai padiglioni auricolari che vi guarderà da dietro i suoi fondi di bottiglia cristallini, aspettando di eseguire la vostra transazione.

Illustrazione di Lorenza Moretti

Ebbene, se non l’aveste già dimenticato, dovete sapere che in questo speciale negozio si vendono niente meno che le parole stesse. Parole di ogni genere e di ogni lingua, parole lunghe o sole lettere. Maschili, femminili, neutre e tutte le più recenti sfumature. Termini tecnici, espressioni volgari, neologismi! Verbi! Congiunzioni! Nomi! Cognomi! Articoli! Segni di punteggiatura! Ogni combinazione di caratteri stampabili qui la si può trovare in vendita e la si può comprare come se si acquistasse una qualsiasi altra merce al mercato. I prezzi sono tra i più curiosi, variano da parola a parola, di giorno in giorno, di secondo in secondo. Alcuni paragonano questa tratta al fenomeno della borsa valori e avrebbero perfettamente ragione, se non fosse per una singola ma cruciale differenza: lo scambio delle parole è un mercato assolutamente esclusivo e illegale, o meglio, sarebbe illegale se le nazioni decidessero di rendere pubblica e demonizzare la sua sregolata esistenza, cosa che pare non accadrà ancora per molto tempo, in quanto spesso sono le stesse nazioni e le loro più spiccate personalità a partecipare segretamente in questo surreale scambio di vocali, consonanti e denaro. Riconoscere e definire illegale lo scambio grammaticale risulterebbe ipocrita e danneggerebbe gravemente l’economia latente degli stessi Stati; legalizzarlo, invece, comprometterebbe l’esclusività della tratta, svalutando di conseguenza la compravendita.

Di fatto però, l’Ufficio delle Parole funziona pressoché in ogni sua forma come una qualsiasi altra borsa valori. In entrambe infatti si scambiano numeri e parole, l’unica differenza è che nella prima queste hanno un significato intrinseco mentre nella seconda non hanno altro valore semantico, morale o razionale se non quello del profitto. C’è da chiedersi quale delle due tipologie valga di più oggigiorno. 

Nel mercato delle parole, come per ogni altro mercato, vige la legge della domanda e dell’offerta. Le parole più costose diventano dunque quelle che tutti vorrebbero possedere; queste non sono altro che le più comuni. Non c’è alcun interesse infatti nel comprare termini tecnici o vocaboli lunghi e sconosciuti, e difatti questi possono essere scambiati alla pari del prezzo del pane. Qualsiasi cittadino infatti potrebbe tornare a casa oggi stesso con un certificato che attesta la proprietà di vocaboli come “stechiometria”, “sincrotrone”, “laplaciana” o “broncopneumopatia” per la vergognosa cifra di appena qualche centesimo. La parole della scienza infatti sono quelle che valgono di meno. Le vere stelle di questo contrabbando sono parole che chiunque utilizza ogni giorno o che vorrebbe utilizzare, ignorante della loro reale proprietà. Al primo posto infatti troviamo un termine che ogni essere umano sente o pensa quotidianamente: “amare” è stato venduto all’asta lo scorso mercoledì al prezzo di cinquecentoottantadue milioni; dicono che tornerà sul banco domani e gira voce che ci sia già qualcuno disposto a comprarlo al doppio del prezzo. Subito dopo, a pari merito, troviamo i verbi “essere” e “avere” , quotati alla modica cifra di centotredici milioni, con leggero vantaggio per il secondo. Seguono “dire”, “potere”, “volere”, “dovere”, “vedere”, “andare” e “mangiare”, tutti con cifre pressoché simili. Ognuno dei verbi principali è già stato venduto e comprato infinite volte, passando da un privato all’altro, per una cifra sempre crescente. Allo stesso modo sono state vendute parole di inestimabile valore, come “cosa”, “famiglia”, “casa”, “gioia”, “mamma”, “papà”, “figli”, “vita”, “uomo”, “donna”, “giorno”, “notte”, “tempo”, “morte”, “odio”, “guerra”, tutte per cifre che non avrebbe alcun senso ripetere, tanto sono grandi e irreali. 

Nell’Ufficio delle Parole ogni termine è unico e singolare: dei vocaboli declinabili ogni forma è venduta a sé. Maschili, femminili, singolari e plurali sono venduti separatamente a meno che non siano messi in vendita in appositi pacchetti come è stato fatto nel 2001 per il verbo “attentare”, acquistato insieme ad ogni sua forma verbale. Ogni singola differenza comporta un costo, per questo preciso motivo “veloce” e “velocissimo” hanno prezzi assai lontani, solitamente maggiori per il primo. Diminutivi, vezzeggiativi, accrescitivi e dispregiativi seguono trend differenti, così come ogni altra differenza linguistica: ciascuna lingua è un mercato indipendente. Ovunque andiate nel mondo vi sarà sempre la possibilità di accedere ad un diverso Ufficio, emporio grammaticale del luogo, dove potrete accedere allo specifico mercato nazionale e a qualche opzione internazionale. Si contano pressappoco duecentomila filiali di finanza grammaticale in tutto il mondo, dal centro di Berlino alle ramblas di Montevideo, ognuna capace di offrire ai propri clienti le peculiarità linguistiche tipiche del posto. Sono molto pochi gli Uffici autorizzati a scambiare parole di lingue non autoctone, ad eccezione dei termini inglesi che possono essere acquistati ovunque, e per questo, qualora il cliente voglia possedere vocaboli esotici, è costretto a spostarsi nelle nazioni di interesse o trovare qualcuno che possa eseguire la transazione al posto suo. Questo non è mai un problema per la maggior parte dei clienti che è talmente ricca da poter seguire ogni vendita nell’ombra totale, senza mai essere costretti a rivelare il proprio volto. Per questo stesso motivo è sempre più difficile capire chi possiede quali parole, sia per gli Uffici che per gli stessi clienti che a quanto pare non hanno più neanche la necessità di sventolare i propri acquisti grammaticali. Oggigiorno chi acquista una parola non ha alcuna intenzione di andare in giro e rimproverare tutti coloro che la usano inconsapevolmente, bensì la acquista per sentirla pronunciare ripetute volte dai comuni mortali e per poter ridere tra sé, soddisfatto, convinto di possedere il loro dire, il loro pensiero e la loro anima. La proprietà di una parola, specialmente di quelle più combattute, è diventata una battaglia di principio, una vendita simbolica di un simbolo vuoto, la semplice certificazione della volontà e della potenza dell’individuo, un atto senza alcuna finalità se non l’atto stesso. 

Sebbene la compravendita sia protetta dall’anonimato ed eseguita da prestanome, le voci corrono rapide e spesso la proprietà di un termine è un’importante questione di onore ed ego. Si dice infatti che il nome “Inghilterra” sia di proprietà della Regina in persona: pare infatti che sia stato acquistato in tempi antichissimi e che sia costato la fame a molti inglesi. “Italia” è stato comprato dal Bel Paese con i soldi pubblici su folle idea di un primo ministro, mentre “Pizza” e “Colosseo” sono stati vinti all’asta da una ricca coppia cinese, battendo con lungo distacco l’offerta italiana. “Democrazia” è nelle mani di un potente principe dell’Arabia Saudita ma pare che siano state avanzate numerose offerte dalla casse statunitensi, forse vedremo un passaggio di mano molto a breve. “Chiesa” e “Dio” sono di proprietà dello Stato Vaticano. “Mecca” e “Ka’ba” invece sono stati comprati per due galline da Maometto in persona qualche millennio fa. “Israele” continua ad essere combattuto all’asta da due personalità anonime da ben più di vent’anni con offerte sempre più alte.

Particolare attenzione è riservata ai nomi di celebrità. Salendo per i piani più alti della scala sociale si fa via via sempre più sentita la pressione sulla proprietà del nome di battesimo. Ogni calciatore, attore o attrice, politico e industriale che si rispetti non potrà mai dire di “avercela fatta”  senza aver prima recuperato il certificato finanziario del proprio nome. Se condividete il nome con un individuo assai più potente di voi mettetevi pure il cuore in pace, sarà già stato comprato e non potrete recuperare la proprietà del vostro nome.

Si potrebbe passare anni interi a rivedere tutte le transazioni grammaticali che sono state fatte e scoprire quali assurde battaglie sono state combattute per la proprietà di una semplice combinazione di lettere. Lettere che, molto poco sorprendentemente, sono anch’esse in vendita. Per la loro peculiare natura però esse non seguono i protocolli di compravendita standard. Per acquistare una lettera bisogna avere un capitale così grande che anche gli acquirenti più benestanti sono costretti a pagare la proprietà a rate e spesso il mutuo grammaticale viene passato da padre a figlio. Alle volte capita anche che qualcuno non riesca a completare il pagamento e che sia quindi costretto a vendere la lettera tanto combattuta da generazioni. Attualmente, ogni lettera di qualsiasi alfabeto è nelle mani di un privato che ne sta pagando lentamente il prezzo. I protagonisti sono sempre gli stessi: lord inglesi, sceicchi, grandi industriali, nazioni e regimi interi. Ma il caso più curioso è sicuramente quello riguardante la proprietà della lettera “A”, comprata ben duemila anni fa da una ricchissima famiglia di Pompei, oggi nelle mani di un lontano discendente, un vecchio falegname di Pizzo Calabro che pare sarà il primo al mondo ad estinguere il lungo debito familiare. Tutto l’universo della finanza grammaticale è in forte attesa della sua morte, poiché, essendo il signore ormai alla fine della sua corsa, si aspetta con ansia di sapere il contenuto del suo testamento, nella speranza di poter rimettere a mercato la prima lettera dell’alfabeto. Possiamo solo immaginare la loro faccia quando scopriranno che il sig. Monteleone ha deciso di regalare la sua sudata lettera al dominio pubblico, rimuovendola irrimediabilmente dalla grinfie del baratto finanziario.

Il mercato grammaticale gioca con i fenomeni economici alla pari di ogni altro mercato: futures, pump and dumps, vendite allo scoperto, manipolazioni e investimenti funzionano nello stesso identico modo. Ma le attività più strane e interessanti rimangono quelle dell’inflazione e deflazione grammaticale. Nello strano mondo del contrabbando di parole è possibile farsi pagare per utilizzare più o meno spesso determinati termini. Per esempio, supponiamo che qualcuno abbia acquistato una certa parola e che voglia rivenderla ad un prezzo superiore. Per farlo dovrà aumentare la sua domanda, ma come? 

Abbiamo detto poc’anzi che nel mondo della finanza grammaticale, i prezzi dei vocaboli salgono con l’aumentare del loro utilizzo. Pertanto, il nostro acquirente potrà pagare una serie di individui influenti affinché essi utilizzino la parola più frequentemente e ne popolarizzino l’uso, aumentando arbitrariamente il suo valore, per poi venderla con largo profitto. 

Lo stesso tipo di investimento può essere eseguito anche nel verso opposto. Qualora qualcuno voglia comprare una determinata parola ad un prezzo vantaggioso questi potrà pagare un copioso gruppo di individui affinché censurino l’utilizzo del termine in questione, impedendo la sua diffusione e riducendone conseguentemente il prezzo. 

Le parole che proferite quotidianamente, a voce o nei vostri pensieri, queste stesse parole che state leggendo, non sono altro che il risultato di una somma di investimenti, sono il mero riflesso di una prospettiva di profitto.

La maggiore frequenza di queste spinte rialziste e ribassiste le troviamo vicino alle giornate più calde di tutta la finanza grammaticale: l’annuncio della Parola dell’Anno. Ogni anno sono tantissimi quelli che fanno speculazione sul risultato di questa grossa competizione, i capitali in gioco girano sui miliardi e gli interessi internazionali sono ogni giorno sempre più grandi. Si specula su ognuno dei cento posti della gara, sulla Top 50, sulla Top 10, sul podio e specialmente sul primo e l’ultimo posto. Si spende per inflazionare l’uso della parola sulla quale si ha scommesso e si deflazionano tutte le altre, in una caotica corsa al primo posto.

Il dott. Albeth attende la vostra richiesta. Con fare ingenuo potreste chiedergli di verificare il prezzo di alcune parole che nel corso della vostra vita si sono rivelate di spiccato valore, potreste essere tentati di controllare il prezzo del vostro nome e di quello dei vostri cari, solo per scoprire con amara sorpresa che il loro ammontare totale è di appena qualche millesimo di centesimo o che ognuno di essi è già stato venduto. Potreste controllare ogni parola del vostro pensare e accorgervi che ciascuna è di proprietà di qualcun’altro. 

Mateusz Miroslaw Lis studia Ingegneria dell'Informazione presso l'Università di Padova, con particolare focus sulle tecnologie di Intelligenza Artificiale e sulle possibili applicazioni nei campi artistico-espressivi. Dirige e produce cortometraggi, scrive racconti brevi, poesie e articoli scientifici.

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