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Città vuota – Biagio Sartori

EPIDEMIA PERSONALE

Banale questo abbrivio,
è come scostare tende di pioggia
nelle chiare mattine di aprile 
mentre dovresti studiare.
Invece esci in veranda
per contare dalle prigioni
tutte le ore in olocausto
a Dio e alle proprie ragioni.
Dentro, le celle sono svuotate,
resta la pietra graffiata,
muscolo viziato al poco parlare.
Ti credevi il migliore a soffrire? 
E mentre le margherite s’abbronzano,
scuotendo il capo al tuo cheto languore,
ripassi col palmo la balaustra sfibrata 
per aggiudicarti una riga di dramma,
eppure ricordi che qui a Ulubre
può mutare solo il tempo dell’anima.