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La cattura nella prigione

testo e illustrazione di Massimiliano Di Marco

Ero disteso da quasi quattro ore su quel maledetto pavimento, senza coperte o materasso alcuno. Mi avevano scambiato per Jonny Lo Stecco, urlavo a squarciagola che si stavano sbagliando a mettermi in cella con quell’odioso vecchio maleodorante. Se ne stava lì mortifero a lamentarsi e del male alla schiena e del dolore alle ginocchia. E continuava, da vecchio qual era, a borbottare e maledire chissà quali malanni, e mentre così bofonchiava, sputava e la bava di lui tutto intorno e sui suoi stessi vestiti si fondeva gioiosamente. Di stare rinchiuso in quel manicomio non ne avevo la minima voglia e, presa una grossa tenaglia che nascondevo nelle mutande, incominciai a rodere le finestre ferrate.

Ed ecco che un grosso cane irrompe nella cella, mentre i due sbirri con due belle facce da schiaffi se ne stavano lì a pregustarsi la scena. Grosso e nero con dei denti bianchi e affilatissimi incomincia a sbranare le gambe del vecchio e così io mi affretto ad aprire le inferriate. Il vecchio incomincia ad imprecare mentre le guardie ridono e, prese dalla foga, incominciano a scommettere quanto il buon uomo possa resistere, e non solo, si prodigano anche a chiamare i giovani dalla strada per spaventarli e avvertirli di ciò che li potrebbe attendere e si divertono a vedere le buone donne che passando lì di fronte si fanno il segno della croce e muovono parole di misericordia per il vecchio. Ora, preso dallo spavento, mi metto a fare leva sugli attacchi al muro e mentre il cane rivolge gli occhi verso la sua nuova preda ecco che con un balzo poderoso mi butto fuori e casco in una latrina bella e accogliente. Non solo attorniato da rifiuti umani, ma anche dai regali che gli animali della fattoria lì adiacente avevano posto. Me ne ripulisco alla bella e buona e faccio appena in tempo che un grosso sasso quasi mi sfiora la tempia e va a colpire l’orecchio che diviene penzolante. Ci pongo la mano per non farlo cadere e pregando di poterlo poi riagganciare in qualche modo sfuggo alle mani untuose degli sbirri.

Ero finito alla fine in un’osteria al procinto delle mura e progettavo di tornarmene a casa col fervore della notte.

Ay ay ay ay canta y no llores, porque cantando se alegran cielito lindo los corazones…” e mentre anch’io seguo la melodia mi arrivano all’orecchio voci riguardanti il vecchio a cui seguono risate e pianti. C’era infatti una piccola donna e un gigante, lì a fianco, che difendevano la posizione del vecchio e reputavano ingiusta la bischerata degli sbirri. Al che due si alzano e presi dalla pazzia incominciano a scalciare la vecchia e le urlano di uscire dalla bettola. Il gigante non si fa aspettare: prende i due per il collo e li scaraventa uno contro l’altro. Comincia una prodigiosa zuffa a mano armata e non, così faticosamente mi rintano al piano superiore verso le stanze da letto di fortuna, sperando di sfuggire ai dissennati con l’orecchio ancora penzolante. Mi ritrovo quindi in una sala oscura con solo un lumino a rischiarare e scorgo una ragazza, giovane e bella, cinta ad un omone che cercava di giovarsi della situazione. Non perdo tempo e preso un grosso candelabro glielo pianto in testa e lui stramazza a peso morto sul pavimento di legno che si fracassa, così che tutti al piano di sotto si immobilizzano a fissarmi stretto sopra la ragazza e ripresi dalla follia dopo l’inframezzo di silenzio si fiondano per le scale accusandomi di falso reo. Incomincio a correre. “Portami con te ti imploro, mi hai liberato da quel bischero e di vivere in tale catapecchia non ne posso più” ci penso un attimo e poi la afferro e le dico di seguirmi e di gettarsi là dalla finestra dove sotto avevano posto il fieno appena raccolto. Inseguiti dalla folla saliamo su due ronzini e scappiamo alla bella e buona.

Erano le 3.35 di notte e ci eravamo appostati al limitare dell’oasi fuori dalle mura entro un fienile abbandonato. Il giorno dopo mi sarei prodigato a portarla a casa mia a Cirene, oltre il fiume. Era una serata fredda e un leggero vento alzava e portava la sabbia dai più antri quadranti del deserto. Avevamo acceso un piccolo falò e una volpe del deserto ci si era appropinquata, anche lei colpita dal freddo. All’improvviso spunta uno strano figuro, alto e magro, pieno di tatuaggi e rivestito di strani piumaggi. Incomincia ad urlare e sbraitare, preso da strani movimenti, ed ecco che la volpe gli salta al collo e incomincia a sbranarla e io come un pazzo incomincio ad urlare e la ragazza mi segue a ruota. Accadde qualcosa di prodigioso: il mago piumato si rialza da terra coccolando la volpe e si rivolge a noi con queste parole : “ Come il bue si appropinqua al fieno e così tutti gli animali da fattoria e come il leone e il ghepardo inseguono le antilopi veloci tra le sterpaglie, così io seguace dell’ordine delle cose sono stato chiamato a dissetare le volpi del deserto come vuole il nostro sacro Dio” detto ciò incomincia a emettere strani versi e le orbite gli si rivoltano all’insù. E si trasforma in un grosso uccello, col becco nero, e gracchiando fortissimo si libbra nel cielo così violentemente che la frustata di vento ci percuote con tale veemenza da farci perdere conoscenza.

Mi risveglio la mattina appresso sotto un sole cocente lontano dall’oasi, tant’è che era sparita dall’orizzonte.

Guardo tutto intorno e non scorgo niente, né la ragazza né il mago, ma non mi faccio prendere dal panico e guardo la bussola. Dopo qualche ora di camminata infernale sotto un sole infernale, arrivo alla mia amata Cirene, piena di fontane e palazzi dalle bellezze più variegate. Piena di colori, odori e strade piene di gente che parla e canta e balla e soprattutto muove denaro a destra e a manca. Mi sento finalmente a casa e faccio un respiro profondo. Corro lungo la strada alla mia destra e, passando tra le miriadi di bancarelle di fruttivendoli e pescivendoli, saluto tutti e tutti mi ricambiano e urlano a gran voce il mio nome. Risuonano le campane del tempio e io arrivo al porto e mi butto pieno di felicità nelle acque calde del Mediterraneo africano.

“Johnny! Johnny!” tutti mi chiamano. E io già preparavo nella mia testa la vendetta su Alessandria: avevano osato sfidare Johnny Lo Stecco, Re di Cirene!in.

Massimiliano Di Marco, nato a Udine il 17/11/1999. Ha conseguito la maturità al Liceo Scientifico Copernico. Attualmente frequenta il corso di Beni Culturali all’Università di Udine.

Per La Seppia ha scritto il racconto Italia vs Boemia
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