di Biagio Sartori
L’uomo lasciò che la pesante porta d’ingresso del condominio si richiudesse cigolando lentamente alle sue spalle. Soltanto dopo che, nella tromba delle larghe scale di marmo, risuonò il tonfo che sigillava la casa aprì gli occhi. Non aveva nessuna fretta, quel mese l’avevano pagato in anticipo e il pomeriggio avrebbe avuto tutto il tempo di passare in centro a rimediare un buon libro per la figlia. Era alla sua età che ricordava di aver letto il primo libro che reputasse decente, “Ventimila leghe sotto i mari”, ma non era sicuro se alla ragazzina di dieci anni un po’di sottomarini e calamari giganti sarebbero andati a genio. Tuttavia, rimandò la scelta, del resto era sempre lì per lavoro e doveva cercare di non adagiarsi troppo sugli allori. Anche se il contatto era una sua vecchia conoscenza, non poteva cadere nella tentazione di lasciar parlare il passato. Del resto, non sapeva se ne avrebbero avuto il tempo e ad ogni modo non si conoscevano più da almeno vent’anni, a parte per le illustrazioni di lei, famose anche al di fuori dall’ambiente pubblicistico, che sottintendevano alcune tappe importanti per osservatori un tempo intimi. Avevano fatto le medie insieme per poi frequentarsi mentre seguivano i corsi all’università. Non erano mai arrivati al dunque. Adesso la luce automatica si era spenta e l’uomo era a metà delle scale. In quei momenti, ogni volta che saliva dentro un palazzo che visitava per la prima volta, si sentiva un topo d’appartamento, in cerca di oro o rame da spillare ad anziane padrone di casa. In passato, quando le cose andavano molto male, aveva addirittura immaginato di intraprendere la carriera di ladro, tanto era forte la sua disperazione di padre senza lavoro. Quella vita di rapine però non avrebbe mai fatto per lui, preciso e in cerca di entrate fisse. Ora era sul pianerottolo del primo piano e si era appoggiato al massiccio corrimano di legno mentre controllava che l’indirizzo fosse quello giusto. Se avesse sbagliato, questo avrebbe di certo minato la sua credibilità. L’indirizzo, il nome era quello giusto: bussò.
“Nicola sei tu?”
“Si sono io”
La donna aprì la porta di casa. Era castana, pallida, magra come una pianta che sta appassendo, portava sui fianchi e sui seni le vestigia della donna che l’uomo, un tempo, aveva desiderato. Era coperta da un vestito leggero blu scuro, i capelli raccolti in una crocchia disordinata che le faceva ricadere alcune ciocche sugli occhiali da vista neri. Il tempo non ci era andato piano con lei. Entrarono nell’appartamento. Per quanto potesse interessargli, Nicola notò maschere dogon e i soliti tappeti appesi alle pareti, per il resto era un’abitazione del tutto ordinaria, tenuta in ordine in maniera confusa.
“Sempre i soliti gusti del cazzo” pensò Nicola deluso. Sotto sotto bramava ancora di capirla. Ma non era lì per quello, i vent’anni erano passati da un pezzo.
“Quindi adesso rappresenti la BMKO…beh, che dire, gestire tutto quel mercato di caramelle deve essere impegnativo”
Disse la donna sistemandosi su un divano bianco sul lato destro del salotto che sporgeva verso l’entrata.
“Si, decisamente sì. Molto più di quanto la gente non immagini”
Rispose l’uomo sedendosi sulla poltrona che fronteggiava il divano.
“Ma veniamo agli affari” riprese lei “esattamente di cosa parlavi al telefono quando mi proponevi una collaborazione?”
“Cercavamo un’illustratrice che avesse molti anni di esperienza in campagne equosolidali e al contempo efficaci nel marketing qui nel mercato italiano. Sono stati fatti vari nomi e beh, io ho proposto il tuo, non si fidavano ciecamente della nomina ma è stato facile, nel team sono quello col grado più alto”
Una giovane gatta nera si era avvicinata di soppiatto ed era balzata in grembo all’uomo.
“Ma guarda questa che va subito dal nuovo arrivato” disse la donna un po’sorpresa dell’espansività del felino nei confronti dell’ospite. “Di solito se arrivano sconosciuti se ne sta rintanata”
“Tranquilla, sai che ho sempre voluto bene a queste bestioline”
Per un attimo si guardarono e la donna capì chi lui fosse veramente, perché fosse lì seduto davanti a lei, e lui lo seppe. Non c’era un motivo, ma in quel silenzio entrambi percepivano che c’era qualcosa sotto, al di là del lavoro.
“Senti, ti voglio chiedere una cosa prima di sbrigare il contratto. So che è passato molto tempo, ma c’è una cosa che non ti ho mai chiesto. Quel giorno avresti scelto me?” chiese l’uomo guardandola serenamente.
“Sapevo che saremmo arrivati qui, era inevitabile dopo tanti anni. No Nicola, non credo. Almeno spero sia così, vorrebbe dire che ho sbagliato tutta la mia vita. Perché me lo chiedi proprio adesso?”
“Perché in fondo sono un romanticone”
La donna sorrise, il sorriso forse più sincero nel ritrovare un vecchio amico, una vecchia persona, l’ultima rimasta intatta dal suo passato e anche l’uomo sorrise. Sorrise perché lei sembrava felice di rivederlo.
E allora ci fu un rumore, come di petardo dentro una pentola, e il divano bianco si ricoprì di sangue e cervello spappolato. La gatta era fuggita in preda al panico mentre il corpo della padrona si accasciava immobile su un tappeto persiano. L’uomo le aveva sparato sotto la mandibola, un colpo pulito, e il proiettile era uscito dalla nuca aprendo un foro sulla testa della donna che ancora sorrideva. Quel colpo anni prima forse l’avrebbe sbagliato, ma ormai era un professionista, pagato solo per quello scopo da un marito traditore, e, soprattutto, per nulla al mondo avrebbe voluto che la donna si accorgesse di qualcosa. Un ultimo tacito dono.
“Si, in fondo sono solo un romanticone” sospirò.
Si alzò tranquillamente dalla poltrona e si chinò ad accarezzare il volto pallido e chiudere gli occhi del cadavere. Bisbigliò qualcosa e svitò il silenziatore dalla sua Berretta. C’era un’ultima cosa da fare.
“Qui micia micia”
L’uomo a passi rapidi raccolse la gatta che, impaurita, se ne stava rannicchiata sotto il tavolo della cucina. Era un bellissimo regalo di compleanno per una bambina bionda di dieci anni.